DECIMA MAS: LEGGENDA DELLA RSI
STRAORDINARIE AVVENTURE DI
SOLDATI DELLA RSI
Umberto Scaroni
Fra le tante, gloriose e spesso incredibili imprese
compiute dai Reparti speciali della Decima Flottiglia MAS, al comando del
Principe Junio Valerio Borghese, le meno conosciute, anche perché
segretissime, sono forse quelle affidate agli "N" del
Gruppo Ceccacci, composto di due Squadre di esperti "nuotatori",
agli ordini del S. Ten. Aladar Kummer e del S. Ten. Renzo Zanelli, particolarmente
addestrati all'uso di esplosivi e destinati ad incursioni di sorpresa oltre
le linee nemiche.
Tali azioni non erano certamente facili da portare
a termine, ed il loro successo dipendeva da un lungo e specifico addestramento,
compiuto sulle spiagge di Jesolo, ma anche e soprattutto da un perfetto
affiatamento fra i componenti della Squadra, nonché dalla fiducia
e dalla stima reciproca, dato che la vita di uno era nelle mani dell'altro.
Ci occuperemo qui, in particolare, delle azioni
compiute dalla Squadra del S. Ten. Aladar Kummer, che, a causa del suo
nome, è stato talora indicato come Ufficiale tedesco, mentre si
tratta di un italianissimo figlio di Fiume che, dopo aver combattuto come
Sottotenente nella Divisione "Trieste" nella battaglia di
El Alamein e, successivamente, in diverse azioni di contenimento durante
la lunga ritirata di Libia, fu ferito ai confini della Tunisia e quindi
trasferito con una Nave Ospedale a Napoli, ove rimase ricoverato per
una ventina di giorni.
Dopo una breve licenza di convalescenza, fu
destinato alla "difesa aeroporti" di Pianello Val Tidone
(Piacenza), ove lo colse la vergognosa resa dell'8 settembre.
Mentre l'Esercito si sfasciava miseramente, Kummer
non esitò a presentarsi al Centro di reclutamento della Decima
MAS, a La Spezia, l'unico Reparto che non aveva ammainato la Bandiera,
e, fra le varie specialità, essendo un ottimo nuotatore, scelse
gli "N" del Btg. "N.P", e provvide personalmente
a costituire la squadra al suo comando, reclutando a Fiume dieci giovani
amici, tutti universitari. Quindi raggiunse tesolo, per uno speciale addestramento,
effettuato in gran segreto. In seguito ad una richiesta d'impiego di due
Squadre "N" giunte dalla zona di operazioni, Kummer e Zanelli
si recarono a Penne, sede del Gruppo Ceccacci, famoso per le missioni
già compiute oltre le linee, nei territori occupati dal nemico.
Purtroppo, proprio quando le Squadre erano pronte
a compiere un'audace azione contro i mezzi da sbarco inglesi nel porto
di Ortona, in seguito allo sfondamento del fronte a Cassino il Gruppo dovette
ripiegare, risalendo l'Adriatico con tutti i suoi mezzi, fino a Cesenatico,
ove requisì l'Albergo Roma, nel recinto del Porto Canale.
Finalmente, verso la fine di luglio'44, la
Squadra ebbe il battesimo del fuoco, sbarcando nottetempo con i "tacchini"
sulla costa fra Senigallia ed Ancona (già in mano agli "alleati");
ove recò notevoli danni ad un deposito di munizioni, a diverse linee
telefoniche ed a vari automezzi inglesi, rientrando incolume, dopo poche
ore, con il motoscafo d'appoggio.
L’entusiasmo della Squadra era alle stelle per il
successo ottenuto, e già si stava organizzando una nuova audace
impresa quando il Gruppo fu ancora costretto ad arretrare verso Nord,
fino a Dosson (Treviso), usufruendo del Porto Corsini quale base operativa
e di partenza per le azioni.
Fu allora che la Squadra Kummer, onde poter disporre
di un mezzo veloce per avvicinarsi agli obiettivi e sbarcare sulle spiagge
con i battellini, si recò a Venezia, ove requisì il motoscafo
del Conte Volpi di Misurata, che usò a metà ottobre per compiere
un'azione nella zona tra Miramare di Rimini e Riccione.
Lasciato al largo il motoscafo, gli incursori raggiunsero
silenziosamente la spiaggia con i battellini. Quindi, strisciando sulla
sabbia, raggiunsero i cespugli sulla strada ove erano allineati numerosi
grossi autocarri carichi di munizioni e di esplosivi.
Minati, indisturbati, tutti gli automezzi, gli arditi "nuotatori"
provvidero quindi a tagliare tutti i fili di collegamento telefonico tra
i vari Comandi alleati, creando un vero caos.
Quando la Squadra, raggiunta la spiaggia, già
si trovava al largo con i suoi battellini, iniziò una serie
di terribili esplosioni che provocarono un fuggi-fuggi generale ed
il più completo scompiglio fra gli occupanti.
Purtroppo, il previsto appuntamento con il motoscafo
non avvenne perché si stava avvicinando l'alba, ed ai primi chiarori
il mezzo aveva l'ordine di allontanarsi dal luogo dello sbarco, per
cui Kummer decise di pagaiare con il battellino verso Nord, accorgendosi
però, dopo un giorno di faticosa navigazione, che la corrente contraria
lo allontanava sempre più dalla spiaggia, per cui preferì
puntare verso terra, per sbarcare la sera sulla spiaggia e tentare
di attraversare le linee a piedi.
La Squadra sbarcò infatti vicino a Rimini,
e si avviò camminando in colonna lungo la circonvallazione
della città. Ad un certo punto, però, arrivò nel senso
contrario una pattuglia nemica (anche questa in fila indiana) che
portava sul basco dei distintivi simili a quelli dei nostri Marò,
il cui capofila li salutò militarmente. Kummer, istintivamente,
tese il braccio in avanti nel regolamentare saluto fascista, ma, accorgendosene,
ripiegò subito il braccio portando la mano al berretto. Tutto andò
liscio, e le colonne sfilarono così una accanto all'altra con una
sequenza da film comico, malgrado la pericolosità della situazione.
La squadra Kummer decise quindi di dividersi per tentare separatamente
di rientrare attraverso le linee con maggiori possibilità di
successo: chi scelse di indossare abiti civili e chi, con Kummer, decise
di restare in divisa. Quest'ultimo gruppetto si diresse quindi
verso Cesenatico, zona familiare, e si rifugiò in una cascina disabitata
dei dintorni, ma improvvisamente, di notte, fu sorpreso e catturato da
un gruppo di soldati polacchi, che lo caricò a calci su un camion
e lo portò in carcere a Forlì, da dove, dopo qualche giorno,
fu trasferito a Roma, a Cinecittà, ove aveva sede il servizio di
spionaggio alleato.
Kummer, dopo venti giorni di demoralizzante isolamento,
fu infine interrogato da un ufficiale maltese, che parlava italiano, ed
avendo appreso che anche gli altri componenti della Squadra erano stati
catturati in borghese, riuscì a salvar loro la vita dichiarando
e dimostrando che non erano spie, ma militari incursori del suo Reparto
che tentavano di passare le linee senza dar nell'occhio.
Quanto alle informazioni militari richieste,
Kummer ebbe l'impressione che quegli interrogatori, anche se rimanevano
senza risposta, fossero inutili, dato che gli "alleati"... sapevano
già tutto!
In tempi successivi, nella sua stessa cella furono
rinchiusi il collega Zanelli - la cui Squadra era stata pure catturata
dopo un riuscito attacco nelle retrovie inglesi - ed il fratello Carlo,
dei mezzi d'assalto della Decima dislocati a San Remo, catturato in mare
dopo aver affondato il suo M.T.M.
I tre prigionieri studiarono subito insieme
un piano di fuga, ma non riuscirono a realizzarlo perché vennero
divisi e trasferiti nel campo di concentramento di Afragola (Napoli). Ad
Afragola furono caricati su un treno di carri bestiame diretto a Taranto,
dove sarebbero stati imbarcati per l'Algeria. Giunti in Basilicata, non
volendo essere trasferiti in Africa, i nostri amici tentarono finalmente
la fuga, riuscendo a scardinare le tavole dal fondo del vagone con un vecchio
chiodo arrugginito strappato a fatica dalla porta. Quindi, dì
notte, riuscirono a calarsi uno alla volta sulle rotaie, approfittando
dei rallentamenti del treno e subito si allontanarono dalla ferrovia
attraverso la campagna dove, in una casa colonica, trovarono una insperata
e generosa accoglienza da parte dei contadini, ai quali si erano presentati
come cittadini del Nord desiderosi di tornare a casa, e che offrirono loro
da mangiare e da dormire.
All'indomani, considerata la grande distanza dalle
linee del fronte, allora attestate sulla Linea Gotica, approfittando del
fatto che Zanelli parlava l'inglese, i tre fuggiaschi compirono una
ennesima bravata, chiedendo ed ottenendo il passaggio su un camion diretto
al Nord. Tutto andò bene, e con un auto-stop dopo l'altro il gruppetto
riuscì ad arrivare a Roma senza destar sospetti.
Proseguendo a piedi verso la Toscana, mentre attraversavano
la piazza di un paese, i tre fuggitivi furono però notati da alcuni
cittadini che, insospettiti, li trattennero in Comune "per chiarimenti"
fino all'arrivo dei Carabinieri, i quali, evidentemente informati della
loro fuga, senza tanti discorsi li portarono a Roma, proprio a Cinecittà,
ove l'Ufficiale maltese dei Servizi Segreti li accolse sorridendo ironicamente
chiedendo loro se avevano fatto un bel viaggio!
Ciò, anziché deprimere, stimolò
la reazione dei nostri Eroi, che subito si misero all'opera per realizzare
il piano di fuga già studiato nel corso della loro precedente
"villeggiatura" a Cinecittà. Dopo aver svitato con un
coltello trafugato la griglia dell'aeratore sul soffitto della cella, strisciando
nel tubo dell'aria Kummer e Zanelli riuscirono infatti a calarsi nella
"stanza dei microfoni" (ove si registravano le conversazioni
fra i detenuti), che non aveva reticolati alle finestre, e di qui scapparono
di notte, ultimando con successo le loro mirabolanti avventure.
Arrestati dagli inglesi nel 1945, verso la fine
della guerra, Kummer e Zanelli vennero trattenuti "per punizione"
nel campo speciale di concentramento di Rimini fino all'estate 1947, quando
gli inglesi, lasciando l'Italia, furono costretti a liberarli.
II S. Ten. Aladar Kummer è ora un attivo
componente ed un valido collaboratore della Federazione di Bergamo dell'U.N.C.R.S.I..
NUOVO FRONTE N.225. Gennaio-Febbraio 2003.
(Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
VITTORIOSISSIMI I MARINAI DELLA DECIMA,
PERCHE' HANNO REALIZZATO TUTTI I LORO PROPOSITI
da DECIMA! - GLI ENNEPI' SI RACCONTANO. Sergio Bozza
"PER L’ONORE"
"Riscattare la dignità del soldato italiano,
vendicare l’inganno perpetrato alla nostra flotta, frenare la tracotanza
dei tedeschi"
Obiettivi raggiunti, Capitano!
I nostri sacrifici sfortunati?
Perché sfortunati?
Non è retorica. Racconto:
In una notte di settembre del 1943, di ritorno da
una sfibrante "Missione di ricupero" (di armi, munizioni, vestiario,
viveri, attrezzature, ecc., tutte merci che scoprivamo, sequestravamo,
o pagavamo a mercato nero) ci si trovava nella caserma del Muggiano, intenti
a mangiucchiare quanto un cuciniere assonnato ci aveva ammannito, quando
inaspettatamente comparvero Junio Borghese, comandante della Decima Mas
e il maggiore Umberto Bardelli, all’epoca suo braccio destro. Il Principe
con la mano ci fece cenno di stare seduti e ci ascoltò sull’esito
della missione.
"Buon lavoro, gente!" (in marina gli equipaggi
sono chiamati "gente") ci disse alfine "Ora riposatevi perché
ci sarà ben altro da fare".
I due stavano allontanandosi quando, chissà
perché, un allievo ufficiale, Giuseppe Mainenti, disse ad alta voce:
"Comandante, vinceremo!". Borghese si fermò, e solo dopo
qualche istante, girandosi con una delle sue famose occhiate a Bardelli,
tornò ad avvicinarsi lentamente alla nostra tavolata.
Alla fioca luce che a malapena illuminava la vasta
e silenziosa mensa ci guardò attentamente, uno per uno; mise un
piede sulla panca e, sporgendosi in avanti appoggiato a un ginocchio, ci
disse: "Se siete qui è perché siete degli uomini e a
questi uomini io dico di ascoltarmi attentamente e di ricordare sempre".
(Non so se avete mai sentito Borghese, ma quando il Comandante parlava,
inchiodava l’uditorio con il suo periodare, breve e secco com’era). "Non
ci sarà nessuna vittoria, perché la guerra è perduta,
definitivamente perduta da quando gli USA sono entrati nel conflitto".
"Non avete la minima idea di quale sia la loro
vera capacità industriale. Io lo so. Perciò nessuna illusione
di vittoria. Noi siamo qui, e andremo fino in fondo, perché all’ombra
della nostra bandiera dobbiamo batterci a ogni costo per riscattare l’onore
del soldato italiano, perché dobbiamo vendicare l’infame inganno
perpetrato nei confronti della nostra flotta, perché dobbiamo difendere
- capitemi chiaramente - la nostra terra e le nostre genti dalla jattanza
e dalla prevaricazione dei tedeschi. Sarà difficile, sarà
duro, correrà sangue, ci saranno immensi sacrifici, ma se manterremo
questi propositi - solo questi propositi - e li realizzeremo, allora sì
che avremo vinto".
Con una fredda inquisitiva occhiata a ognuno di
noi, di scatto, si rizzò e senza aggiungere altro se ne andò
col taciturno Bardelli.
Cari, tristi pessimisti: Gli NP, gli uomini della
Decima (con tutti i soldati della RSI) hanno mantenuto l’impegno prospettato
dal Comandante, lo hanno realizzato e quindi:
"Noi abbiamo vinto".
I nostri sacrifici sono stati sfortunati?
Al contrario: fortunatissimi.
Compreso a fondo il significato dell’onore delle
armi riconosciuto alla Decima dagli inglesi?
Viste le dichiarazioni di Eisenhower?
È il massimo!
E inoltre: lo scomodo alleato tedesco è stato
tenuto a bada e non ha fatto vendette sull’Italia. Innocue furono rese
le ciurmaglie politiche. Funzionarono le ferrovie, gli approvvigionamenti
alimentari, gli assegni familiari per un milione di prigionieri, le scuole
di ogni tipo, la vigilanza contro i ladri, l’agricoltura che molto produsse
e il lavoro dei civili che non mancò mai. Tutto, e al meglio, fino
al penultimo giorno, 24 aprile 1945. Che si voleva di più?
Possiamo andare fieri a rapporto:
"Abbiamo vinto, comandante!"
Nella Storia, quella con la "S" maiuscola,
il silenzio dei vinti molte volte vale di più del clamore dei vincitori.
Decima!
Dal Nieppi
ex allievo uff.
II compagnia "NP"
da DECIMA! - GLI ENNEPI' SI RACCONTANO. Sergio Bozza
Anno di Edizione: 1997. Greco&Greco editori. (Indirizzo
e telefono: vedi EDITORI)